Dagli scudetti ai colpi di tosse (di Roberto Beccantini)

roberto-beccantiniQuanti scudetti ha vinto la Juventus? Ventisette. Quanti scudetti ha vinto l’Inter? Diciassette. Poi, chi ha memoria del passato potrà sempre aggiungere alla Juventus «più due revocati» e all’Inter «di cui uno a tavolino». A livello ufficiale e sportivo, però, non si può continuare a fingere. La realtà storica è questa. Liberissimo, ognuno di noi, di adeguarla alla propria passione e ai propri istinti: per gli juventini, gli scudetti rimangono comunque ventinove; per gli interisti, sono diciassette senza tavolini. I tifosi possono. I dirigenti, viceversa, dovrebbero stare più attenti. Da quando è diventato presidente, Jean-Claude Blanc non parla che di ventinove scudetti e di terza stella «per rispetto dei nostri supporter». Ruffianone. Quando il presidente era Giovanni Cobolli Gigli, mica si esponeva in termini così perentori. Anzi. Frenava. Temporeggiava. Deviava.\r\nPer discutibili che siano, fanno testo i verdetti di Calciopoli: e lo faranno anche dopo il processo di Napoli, sempre che le sentenze (ammesso che ci si arrivi) non portino alla luce fatti clamorosamente e profondamente nuovi. Nel frattempo, andiamoci piano con i cerini dialettici: il popolo s’infiamma con facilità. Il discorso vale anche per Massimo Moratti, che si è posto come obiettivo il quinto scudetto di fila, dimenticando la «legge ad squadram», promulgata da Guido Rossi, che gli offrì il titolo del 2006 su un piatto d’argento (gentile eufemismo). Se davvero l’Uefa sollecitava una squadra campione, ma non mi risulta, che bisogno c’era di crerare un mini-sinedrio di tre saggi che appoggiasse e giustificasse una scelta così estrema? Ricordo en passant che sul campionato 2005-2006 non figura agli atti uno straccio d’inchiesta. Nulla di nulla: lo scudetto fu confiscato perché, in forza della retrocessione sancita dai tribunali sportivi, la Juventus avrebbe dovuto partecipare al torneo di serie B e non di serie A. L’Inter, terza a 15 punti, non c’entrava nulla.\r\nNella speranza che la boiata del processo breve non azzeri Calciopoli, torno ai colpi di tosse di Napoli. Ha suscitato molto scalpore la testimonianza di Manfredi Martino, all’epoca segretario della Can (Commissione arbitrale nazionale). Ricordare solo in aula, dopo averlo dimenticato per undici interrogatori, che «in occasione della prima partita di campionato della stagione 2004-2005 mi venne chiesto da Pairetto e Bergamo di inserire un biglietto X all’interno di una determinata pallina particolarmente ammaccata» (Gazzetta dello Sport, 7 novembre), avrebbe indisposto un santo, figuriamoci il giudice Teresa Casoria. E poi il colpo di tosse con il quale uno dei designatori avrebbe suggerito o orientato il sorteggio di Milan-Juventus, lo «spareggio» dell’8 maggio 2005: beh, l’ho trovato geniale. Milan-Juventus rientrava nella griglia A, con Brescia-Inter e Parma-Roma: arbitri coinvolti, Pierluigi Collina, Gianluca Paparesta e Matteo Trefoloni. «Non ricordo nessun colpo di tosse», mi ha detto al telefono Franco Morabito, il giornalista che, quel giorno a Coverciano, abbinò manualmente il nome di Collina alla supersfida. «E non rammento nulla di irregolare». Credo che i sorteggi non fossero taroccati all’atto materiale dell’estrazione, ma condizionati a monte, come dimostrerebbe la «grigliata» telefonica tra Paolo Bergamo e Luciano Moggi. Manfredi Martino, sempre per la cronaca, non si è limitato a sdottorare di urne e palline. Ha pure confessato che, appena poteva, telefonava a Leonardo Meani, il «preservativo» milanista di Adriano Galliani; i designatori, inoltre, gli avevano confessato che il presidente federale, l’imparzialissimo Franco Carraro, smaniava dalla voglia di salvare Fiorentina e Lazio; per concludere, Andrea Della Valle e Claudio Lotito, presidenti di Fiorentina e Lazio (che combinazione!), frequentavano ogni tanto i raduni arbitrali di Coverciano. Capìto, il devoto funzionario? Altro che colpi di tosse.\r\n(La Stampa)